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Storia dell’alimentazione: le origini dell’eccellenza

Nascita dei comuni

Comuni Italiani nel Medioevo

Come scrive il prof. Massimo Montanari, l’impero romano aveva basato il suo ordinamento civile e politico su un’ordinata rete di città. Il crollo di tale ordinamento determinò profondi cambiamenti dell’impianto urbano e della sua organizzazione. Elemento centrale di questa trasformazione fu la presenza del vescovo in città, espressione delle classi senatorie cittadine convertite al cristianesimo, che conservò una grande autorevolezza, innalzandolo a una sorta di supplente dei poteri pubblici nelle città.

Durante il secolo X molte sedi episcopali dell’Italia centro-settentrionale ottennero dai rappresentati del potere regio e, successivamente, imperiale il riconoscimento ufficiale del loro ruolo in ambito urbano, inserendo a pieno titolo i vescovi tra i legittimi detentori di parti di potere pubblico.

Palazzo dell'Arengo - Rimini

Il vescovo veniva eletto dall’insieme dei canonici e dei maggiorenti cittadini, comprendenti proprietari terrieri, mercanti, artigiani, esperti di diritto, giudici, notai. Su tale ceto si poggiava, nella prassi quotidiana, il governo vescovile della città.

Nel XII secolo, i cittadini si staccarono dalla figura del vescovo, sostituendolo con assemblee elettive che chiamarono arenghi o conciones. Tale assemblea eleggeva come propri rappresentanti dei “consoli” che erano posti a guida politica, militare e giudiziaria del nuovo organismo che da questa innovazioni istituzionali prende vita: il comune.

Prof. Massimo Montanari

Un altro fattore che, insieme all’indipendenza politica, caratterizzò la storia delle città comunali italiane del centro-nord fu la capacità di proiettarsi al di fuori delle mura alla conquista del territorio circostante, territorio che in origine coincideva in larga misura con il territorium civitatis, la vasta area su cui la città romana aveva esercitato una centrale funzione di coordinamento. Il controllo del contado costituì un obiettivo imprescindibile, soprattutto, dal punto di vista economico.

Differenza tra città e territorio

Fornai Medioevo

Sul piano alimentare, la conquista del contado diede vita alla contrapposizione tra un modello urbano e un modello rurale: il mercato qualificava il modo di mangiare dei cittadini, con la presenza di una grande varietà di prodotti; mentre la campagna vive soprattutto dei prodotti locali, quindi un’economia basata soprattutto sull’autoproduzione e l’autosostentamento dei contadini.

Da un punto di vista culturale, i ceti cittadini elaborarono modelli e mode di consumo diversi rispetti a quello dei territori circostanti.

Ad esempio, gli elementi tipici della dieta contadina erano i cereali inferiori: segale, miglio, farro, spelta, e, successivamente, in età moderna, il mais. Tutti cereali che i contadini utilizzavano sottoforma di zuppe, polente, focacce, pani scuri.

Mercato cittadino - Medioevo

Il mercato cittadino, invece, garantiva la presenza regolare di frumento e cioè di pane bianco. Così come il consumo di carne di maiale era prettamente contadino, mentre la carne di bue si trova, esclusivamente, sul mercato urbano.

Questa varietà di prodotti pregiati che arrivava all’interno della città, proveniente, anche, da diverse aree geografiche, era garantita da una politica ben precisa, chiamata politica annonaria, cioè l’approvvigionarsi di prodotti in modo da garantire la richiesta del mercato.

Il rapporto tra la città e il suo territorio fu un rapporto complesso, è vero che la città in un certo senso si oppose al territorio e che i ceti cittadini mangiavano in modo diverso rispetto ai ceti rurali, è però anche vero che la città riassunse le risorse, la cultura, le tradizioni alimentari dello stesso territorio.

Eccellenze gastronomiche italiane

Eccellenze gastronomiche italiane

Questo fenomeno è tipico della storia alimentare italiana: la città era al centro di un piccolo o grande stato, in cui il territorio lavorava per rifornire il mercato urbano, che a sua volta si impadroniva di questa cultura locale e la metteva in circolazione attraverso il mercato. Così, prodotti che nascevano sul territorio assumevano, però, nomi che facevano riferimento alla città: il tartufo di Alba, certamente non nacque in piazza ad Alba; la gallina padovana, non nacuqe in piazza a Padova, e lo stesso discorso vale per le olive ascolane, il prosciutto di Parma, la mortadella di Bologna, ecc.

Molti dei prodotti tipici italiani facevano, e fanno, riferimento ad una città, che cosa significa questo? Significa che una prospettiva tipica della storia della cucina italiana è proprio quella di avere alla sua origine il mercato cittadino,inteso come centro propulsore, in cui affluivano i beni, le risorse, le culture del territorio che la città riesportava, mettendo in rete queste risorse e, quindi, scambiandole con quelle di altre città.

Eccellenze gastronomiche italiane

Il segreto della cucina italiana è quello di essere una cucina fatta di diversità locali che si mettono in rete attraverso i mercati cittadini.

Il ruolo della città nella diffusione della cultura gastronomica è, quindi, un ruolo molto importante attraverso cui, le stesse città hanno costruito la propria immagine, un esempio tipico è quello di Bologna “la Grassa”. Questo appellativo deriva dalla ricchezza gastronomica che la città ha saputo mettere in rete, anche grazie alla richiesta dei numerosi studenti presenti nella sua Università, tra le più antiche d’Italia, provenienti da diverse parti d’Italia e d’Europa. Si hanno testimonianze che attestano che fin dal Medioevo nelle osterie bolognesi si poteva mangiare tedesco o francese. La città riusciva, cioè, a rispondere a esigenze alimentari molto diversificate, mettendo in rete tradizioni culinarie diverse.

Questo tratto peculiare del mito gastronomico bolognese può essere esteso all’intera storia della cucina italiana.

Cartina dell'Italia Medievale

Un saggio erudito milanese del ‘500, Ortensio Lando, racconta e decanta le specialità gastronomiche della penisola italiana, simulando un viaggio da sud a nord che inizia dalla ricca Sicilia, dove si possono gustare i suoi gustosi maccheroni, per passare poi a Taranto con i suoi buonissimi pesci, a Napoli dove si possono assaggiare pani squisiti, vitella di Sorrento, caciocavalli, dolcetti, ravioli, schiacciate di mandorle, conserve rosate, biancomangiare, cosce di pollastri, pesche da far risuscitare i morti. L’itinerario poi prosegue verso nord, tra Toscana e l’Umbria. Tocca Siena con i suoi dolci alla mandorla; Foligno celebre con i suoi semi di melone canditi e altre confetture, arriva a Firenze dove trova il cacio marzolino e il panpepato, il vino trebbiano e i berlingozzi, e poi Pisa con i biscotti, Lucca con la sua salsiccia e marzapanetti.

L’Emilia con i suoi salsicciotti di Bologna, i salami di Ferrara, la salsiccia di Modena, la cotognata di Reggio, il cacio di Piacenza. A seguir il grande emporio di Milano e della Lombardia: Lucanica, Tomacelle, salsicce, i pesci del lago di Como e del lago di Lugano. In direzione sud-est, Padova con il suo vino, il pane, i lucci, e poi Venezia, il Friuli, Vicenza, Brescia, ecc.

A. Vincenti

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