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Invito al viaggio

Nel passato uno dei cibi veloci della tradizione contadina dell’estremo Meridione d’Italia era la frisella (“friseddha” in dialetto salentino), anche conosciuta come il “pane dei crociati”. Si narra, infatti, che agli albori del primo millennio i pellegrini che, attraverso la via Traiana, arrivavano ai porti porti di Bari, Brindisi e Otranto per imbarcarsi per la Terra Santa, usassero portarsi appresso, per affrontare la difficile traversata, questo cibo facile da conservare e che, all’occorrenza, veniva preparato bagnandolo nell’acqua di mare e aggiungendovi poi pomodoro e olio.

Più tardi la frisella divenne un cibo tipico della tradizione culinaria contadina e marinaresca del Tacco d’Italia. E la ragione è sempre la stessa: la possibilità di poter fare sempre affidamento su un cibo veloce da preparare, nutriente e genuino durante le lunghe permanenze in mare o durante i duri lavori estivi nei campi, lontano da casa.

La frisa è un tarallo di grano duro (ma anche orzo o in combinazione secondo varie proporzioni) cotto al forno due volte (bis-cotto).

Frisella

L’impasto, ottenuto dalla lievitazione di farina di grano o orzo con acqua, sale e lievito, viene lavorato a mano per renderne omogenea la struttura e tagliato nelle dimensioni desiderate e secondo la tradizione locale, lavorato fino a ottenere la forma di una losanga. La losanga ottenuta viene arrotolata su sé stessa in una forma a spirale con piccolo foro centrale e successivamente infornata a contatto con altri pezzi, in piccole palettate di sei-otto forme.

Anticamente, attraverso il foro veniva fatta passare una cordicella i cui terminali venivano annodati formando una collana di friselle, in questo modo risultava piu facile da trasportare al riparo dell’umidità.

Dopo la prima cottura la singola forma, ancora calda, viene tagliata con un filo “a strozzo” orizzontalmente lasciando sulla faccia dello scorrimento dello spago la caratteristica superficie irregolare per cui presenterà una faccia porosa e una compatta. I due pezzi ottenuti, quello inferiore col fondo piatto e quello superiore con il dorso curvo, si cuociono nuovamente in forno per eliminarne l’umidità residua. La frisa veniva conservata nelle “capase”, contenitori di creta per preservala dall’umidità e favorirne la conservazione.

La frisa viene prepara bagnandola in acqua fredda (sponsatura) per un tempo che dipende dal gusto individuale e dalla consistenza della pasta cotta.

Dalla frisella al cous cous

Probabilmente quei pellegrini una volta giunti in Terra Santa, dopo un estenuante e avventuroso viaggio, ebbero modo di assaporare un altro cibo della tradizione millenaria del Mediterraneo: il cous cous. Cibo sicuramente presente a quelle latitudini se una leggenda narra che Re Salomone (1011 a.C. -931 a.C.) si concedesse grandi mangiate di cous cous per alleviare le pene d’amore causate dalla Regina di Saba.

Cous cous

Alimento povero, principale fonte di sostentamento per le popolazioni nomadi, il cous cous è un piatto che trova origine nel Nord Africa, alcune scoperte archeologiche risalenti al nono secolo, avrebbero portato alla luce degli utensili da cucina per preparare il couscous.

Durante l’undicesimo secolo, la conquista arabo-islamica contribuì alla diffusione del piatto in tutta la regione Nordafricana. La crescita economica e lo sviluppo della produzione di grano ne accelerarono l’espansione. Quindi il cous cous fu portato in Spagna, nella regione meridionale dell’Andalusia, e lungo il perimetro del Mediterraneo. In uno scritto del XVI secolo di Francois Revelais, si nota come in Provenza fosse diffuso e apprezzato il Coscoton a la Moresque.

Fra i luoghi in cui fu adottato e apprezzato il cous cous c’è la Sicilia, qui intorno al Seicento gli Arabi lo diffusero a Trapani e in tutta la zona circostante. Oggi il cous cous figura fra le specialità dell’Isola e in suo onore sono organizzati festival, sagre, eventi vari.

I chicchi di cous cous vengono fatti con la semola (grano duro macinato grossolanamente) o, in alcune regioni, da miglio macinato grossolanamente. La semola viene aspersa d’acqua e lavorata con le mani per farne pallottoline, che vengono asperse di semola asciutta per tenerle separate, e poi passate al setaccio. Le pallottoline che sono troppo piccole per costituire i chicchi di cous cous passano attraverso il setaccio e vengono di nuovo asperse di semola asciutta e lavorate a mano. Questo processo continua fino a che tutta la semola è stata trasformata nei minuscoli chicchi del cuos cous. Questo procedimento richiede una lavorazione molto prolungata. Nella società tradizionale le donne solevano radunarsi a gruppi per vari giorni per preparare insieme una grande quantità in grani. Questi ultimi, seccati al sole, potevano poi durare per parecchi mesi.

Allo stesso modo si possono preparare le pallottoline di berkukes, che si differenziano per essere più grosse dei chicchi del cous cous normale.

Per quanto riguarda la cottura del cous cous, secondo la tradizione i grani devono essere passati più volte al vapore, quindi insaporiti con il brodo in una particolare doppia pentola, la cuscussiera, che consente di conservare la giusta consistenza ed evitare la formazione di grumi.

FRISCOUS®

Friscous rappresenta una contaminazione tra la frisella e il cous cous, un viaggio ideale capace di valorizzare e unire un piatto tipico della tradizione culinaria salentina con un altro altrettanto tipico di molti Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

Friscous

Il piatto ha come base una selezione di semole e farine di grano duro coltivate sul territorio pugliese. L’approvvigionamento del grano è frutto di una produzione dedicata e controllata direttamente dall’azienda agricola di famiglia in agro di Ruffano, mentre le semole provengono da selezionati molini pugliesi.

Friscous Maru

La qualità degli ingredienti (lievito madre, semola rimacinata di grano duro, curcuma), la lenta lievitazione e la scrupolosa lavorazione artigianale (cottura in forno a legna di ulivo), oltre ad esaltare il sapore e il gusto di Friscous, lo rendono particolarmente interessante dal punto di vista nutrizionale: basso apporto calorico, assenza pressoché totale di colesterolo e straordinario potere antiossidante e antinfiammatorio grazie al sapiente dosaggio in ricetta della curcuma.

Friscous, richiamandosi alla tradizione della frisella (sponsatura), si prepara con la sola aggiunta di acqua fredda, diventando in pochi secondi un ottimo cous cous, base per ottimi primi o secondi piatti o per un aperitivo salutare e genuino.

FRISCOUS preparazione e ingredienti

@Chefgiramondo

“Niente olio di palma. Turismo all’olio d’oliva. Solo il dolce del viaggio. Contro l’aspartame dei tour preconfezionati. Esperienze biologiche. Non contengono solfiti. Luna di miele con la natura. Contro la sofisticazione turistica. Un trattamento di bellezza per l’anima. Paesaggio senza parabeni.”

Ivan Tronci, chef giramondo che trova la sua ispirazione nelle forme creative del celebre architetto Gaudi, già presente in prestigiose cucine europee come il Vilajoya in Portogallo e la Petie Nice di Marsielles, è sous-chef del grande Heinz Beck. Ivan ha voluto mettere nella sua valigia insieme agli strumenti del mestiere, all’acqua del mare, alla terra rossa e al suo amore per Otranto, anche il Friscous.

Ivan Tronci

Noi viandanti siamo abituati a coltivare i desideri amorosi proprio per la loro inappagabilità, e quell’amore che apparterrebbe alla donna noi lo dissipiamo profondendolo al villaggio e alla montagna, al lago e alla voragine, ai bimbi sul sentiero, al bue sul prato, all’uccello e alla farfalla. Noi liberiamo l’amore dall’oggetto, l’amore da solo ci è sufficiente, così come nel nostro vagare non cerchiamo la meta, ma solo il godimento del vagabondaggio per se stesso, di essere in cammino. Hermann Hesse, Il vagabondo.

A. Vincenti

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